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lunedì 5 novembre 2018

Edouard Manet


"Colazione sull'erba"



1863
Museo d'Orsay 
Parigi






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ANALISI "Colazione sull'erba" _Arte Svelata

Le déjeuner sur l’herbe (La colazione sull’erba) è un dipinto a olio su tela realizzato tra il 1862 e il 1863 dal pittore parigino Édouard Manet (1832-1883) e oggi conservato al Musée d’Orsay di Parigi. L’artista presentò il quadro al Salon del 1863, ma vide la sua opera rifiutata. Non fu l’unico. Quell’anno, al Salon, la giuria respinse quasi 3.000 opere, sollevando l’indignazione dei pittori esclusi. Napoleone III ordinò allora che i quadri non accettati fossero accolti ed esposti dentro nuove sale nel Palais de l’Industrie, sede del Salon. Nacque, così, il Salon des Refusés (il ‘Salone dei Rifiutati’). Questa seconda esposizione attirò una vera e propria folla di visitatori, incuriositi dalla pittura “moderna” ma totalmente impreparati a capirla. La colazione sull’erba, in particolare, ebbe l’effetto di un vero e proprio terremoto su pubblico e critica che la giudicò una mostruosità. Tuttavia, ebbe un irresistibile potere di attrazione nei confronti dei futuri impressionisti. colazione sull’erba

Édouard Manet, Le déjeuner sur l’herbe, 1863. Olio su tela, 2,08 x 2,64 m. Parigi, Musée d’Orsay.

Un soggetto scandaloso

Il quadro raffigura una “colazione”, ossia un pranzo, all’aperto (oggi diremmo un pranzo al sacco o un picnic) e vede protagonisti due uomini e due donne che hanno scelto un piccolo spazio, in un bosco, tra gli alberi, sulla riva della Senna nei pressi di Argenteuil (un comune non lontano da Parigi). Il gruppo è stranamente assortito. I due uomini, infatti, sono interamente vestiti, la donna in primo piano è invece completamente nuda mentre la seconda donna, che si intravede sullo sfondo, è in sottoveste e si sta bagnando le gambe nel fiume. Sappiamo che per la donna nuda fece da modella Victorine Meurent, un’operaia di Montmartre all’epoca diciannovenne, che posò anche per l’altra figura femminile, mentre i due uomini in primo piano sono Gustave Manet, fratello del pittore, e, in primo piano, lo scultore olandese Ferdinand Leenhoff, cognato dell’artista. Accanto alla donna nuda notiamo un cestino con frutta e pane: la “colazione” che dà il titolo al quadro.

Édouard Manet, Le déjeuner sur l’herbe, 1863. Particolare.
Édouard Manet, Le déjeuner sur l’herbe, 1863. Particolare.
Édouard Manet, Le déjeuner sur l’herbe, 1863. Particolare.

Una tecnica innovativa

In Le déjeuner sur l’herbe, Manet volle cercare la sensazione luminosa della visione dal vero. Per questo motivo, egli adottò una tecnica pittorica innovativa. Privilegiò i colori puri; abbandonò l’abituale cura nella resa dell’incarnato femminile; fornì indicazioni solo sommarie nella descrizione delle figure e soprattutto dei particolari del fondo; creò violenti contrasti tra luce e ombra, riducendo il chiaroscuro e talvolta abolendolo; rinunciò alle sfumature (i colori sono stesi senza diluizione o velatura) e solo i contorni, tracciati con decisi colpi di pennello, mantengono il compito di modellare le forme. Nel suo quadro, dunque, i volumi non sono plasticamente determinati (tanto che i personaggi sembrano incollati sul paesaggio): le figure sono definite semplicemente per opposizione di toni e anche la profondità non è resa dalla prospettiva tradizionale ma suggerita dalla giustapposizione delle macchie di colore diverso. L’artista venne aspramente criticato proprio per questa sua “mania di vedere tramite macchie”, una concezione artistica che anticipava i successivi traguardi dell’Impressionismo. L’opera sembra, insomma, non terminata, ma appena abbozzata. Chi si avvicinava al quadro non trovava i dettagli, al tempo tanto apprezzati, e stentava a riconoscere le forme: l’immagine, infatti, acquista senso di verità solo con una visione distanziata. Tutto questo, all’epoca, era considerato inconcepibile. Uno dei parametri per giudicare la bravura di un pittore era proprio la verifica da vicino del livello di definizione e perfezione della stesura pittorica. colazione sull’erba

Édouard Manet, Le déjeuner sur l’herbe, 1863. Particolare.

Il nudo femminile

A sconvolgere il pubblico intervenuto all’esposizione non fu solo la novità della tecnica, ma anche il tipo di nudo presentato dal pittore, molto diverso da quello classicamente nobilitato: un nudo che contestava apertamente e metteva in crisi un genere oramai ben collaudato. Nella pittura rinascimentale, storica, mitologica e religiosa, i soggetti non erano mai presentati come fini a sé stessi ma come esempi di ideali estetici o morali. Ciò valeva anche per il nudo. Nella Colazione sull’erba, invece, la donna in primo piano rivolge sfrontatamente lo sguardo all’osservatore, creando imbarazzo; inoltre, si comprende benissimo che si è appena privata dei suoi vestiti, sui quali si è seduta. Insomma, non può essere in alcun modo identificata con una ninfa o con una dea ma con una prostituta.

Édouard Manet, Le déjeuner sur l’herbe, 1863. Particolare.

In realtà, Manet si era ispirato al Concerto campestre (1509-10) di Tiziano e ad alcune stampe cinquecentesche del pittore veneziano Marcantonio Raimondi (1482 ca.-1534), a loro volta tratte dal Giudizio di Paride (1515-16) di Raffaello. Una volta posta mano all’opera, tuttavia, Manet stravolse questi modelli, conducendo un’operazione artistica deliberatamente straniante e provocatoria. colazione sull’erba

Tiziano, Concerto campestre, 1509-10. Olio su tela, 1,10 x 1,38 m. Parigi, Musée du Louvre.




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Il bar delle Folies-Bergère, dipinto tra il 1881 e il 1882, fu uno degli ultimi quadri di Manet. Venne realizzato in studio dopo un lungo lavoro preparatorio, sulla base di bozzetti eseguiti all’interno del locale. L’artista era già malato e portò a termine l’opera tra grandi sofferenze fisiche; presentò il dipinto al Salon del 1882, ricevendo un’accoglienza, come sempre, piuttosto tiepida.

Édouard Manet, Il bar delle Folies-Bergère, 1881-82. Olio su tela, 96 x 130 cm. Londra, Courtauld Institute Galleries.

Infatti, Il bar delle Folies-Bergère, secondo l’uso impressionista, è una brillante tranche de vie, ossia uno spaccato di vita vissuta. Degas e Renoir erano stati dei veri maestri nel realizzare questo genere di soggetti. Anche Manet, tuttavia, riuscì a «strappare alla vita moderna il suo lato epico», come suggeriva il suo amico Baudelaire, e con assoluta capacità. Il poeta, tra l’altro, sosteneva che «un vero pittore […] ci farà vedere e sentire quanto siamo grandi e poetici nelle nostre cravatte e nelle nostre scarpe lucide».

Egli, infatti, sosteneva che la pittura moderna dovesse descrivere la modernità; senza indulgere troppo nella storia e nel mito; una posizione che vide l’artista completamente d’accordo. Tutte le sue opere, e soprattutto quelle della maturità, testimoniano il costante interesse dell’artista per la gente comune, incontrata ogni giorno a Parigi. In accordo con i colleghi impressionisti, Manet riteneva che i parigini rappresentassero la vera modernità; per questo egli trasse la sua ispirazione dagli eventi e dalle persone del proprio tempo e del proprio paese e si distinse per la sua straordinaria abilità nel cogliere la particolarità di quanto è normalmente considerato banale.

Édouard Manet, Il bar delle Folies-Bergère, 1881-82. Particolare della barista.

La barista e lo specchio

Il bar delle Folies-Bergère inquadra un angolo del locale dov’era organizzato il bar. Una barista, splendidamente ritratta con l’espressione assente, sta in piedi dietro al bancone e davanti a un grande specchio, che riflette quanto si trovava davanti a lei, ossia il salone illuminato dai grandi lampadari e anche i clienti del locale seduti ai tavolini: uomini del bel mondo con i loro cappelli a cilindro neri e signore eleganti munite di binocolo, intente a guardare lo spettacolo ma più probabilmente a spettegolare.  Tutti, infatti, sembrano ignorare la trapezista, della quale s’intravedono appena le gambe all’estrema sinistra del quadro. Si distinguono, nella massa quasi indistinta dei clienti, un uomo e una giovane donna vestita di chiaro e con i lunghi guanti gialli che conversano; probabilmente, lei è una prostituta e sta contrattando il prezzo della sua prestazione.

Édouard Manet, Il bar delle Folies-Bergère, 1881-82. Particolare del pubblico riflesso nello specchio.

Suzon

Della barista conosciamo il nome: Suzon. Era una vera cameriera del Folies-Bergère che accettò di posare per il pittore. La giovane porta i capelli biondi pettinati secondo la tipica acconciatura à la chien, ossia raccolti dietro in una coda e con una frangetta che arriva fino al livello delle sopracciglia. È vestita elegantemente, come si conveniva per lavorare in un locale prestigioso e ben frequentato come quello: l’abito nero, dotato di un’ampia scollatura bordata di merletto, è stretto alla vita da una lunga fila di bottoni. La ragazza porta alle orecchie due piccoli orecchini, al collo un collarino con nastro e cammeo, all’avambraccio destro un braccialetto dorato e si è appuntata sulla scollatura un delizioso bouquet di fiori.

Édouard Manet, Il bar delle Folies-Bergère, 1881-82. Particolare del volto della barista.

Contrasta con questa sobria eleganza l’atteggiamento un po’ sgraziato, poco femminile secondo le convenzioni dell’epoca, dell’appoggiarsi al marmo del bancone, tipico di chi si tiene pronto a muoversi per servire il cliente. Un atteggiamento che tradisce le origini popolane della giovane.

Suzon ha una espressione malinconica e l’artista la coglie in un attimo di sospensione, come immersa nei suoi pensieri, come se avesse approfittato di un momento di inattività per chiudersi nel proprio mondo interiore. Ciò contrasta con il contesto, che immaginiamo chiassoso e caotico. Non facciamo fatica a riconoscere nel volto della ragazza un certo disagio, a trovarsi lì in un posto che la vede socialmente estranea, a compiere un lavoro che probabilmente non ama, a servire persone che magari in cuor suo disprezza, che trova boriose e supponenti, e che molto probabilmente le parlano in modo asciutto e sbrigativo se non addirittura scortese.

Un gioco prospettico

È solo una illusione, insomma, che la barista rivolga lo sguardo verso di noi che osserviamo il dipinto. Il riflesso sullo specchio, d’altro canto, nega definitivamente questa possibilità, con un effetto curiosamente spiazzante. Infatti, la prospettiva usata dall’artista, falsata ad arte, ci permette di vedere nello specchio allo stesso tempo la donna di spalle e l’uomo che si avvicina e che sta per rivolgerle la parola. Fu l’ultimo esperimento di Manet, e probabilmente il più riuscito, sul rapporto tra spettatore e immagine. In effetti, la posizione rigorosamente frontale della donna dovrebbe far sì che la sua immagine si sovrapponga a quella riflessa; tuttavia, bisogna considerare che il vero punto di vista della scena è più angolato.

Édouard Manet, Il bar delle Folies-Bergère, 1881-82. Particolare del riflesso della barista e del cliente.

La natura morta

Gli oggetti del bar in primo piano testimoniano anche della maestria di Manet come pittore di nature morte. Vediamo, alle due estremità, alcune bottiglie di champagne e di liquore e anche un paio di birre inglesi, di una marca molto apprezzata nella Parigi dell’epoca (con il triangolo rosso sull’etichetta); al centro spicca un calice in cui la ragazza ha immerso due rose dalle tonalità lievemente rosate e aranciate e, accanto, ammiriamo una fruttiera di cristallo colma di arance e ricca di riflessi luminosi.

Édouard Manet, Il bar delle Folies-Bergère, 1881-82. Particolare del gruppo di bottiglie a sinistra.

La tecnica

Come si vede, la tecnica utilizzata da Manet è molto prossima a quella dei suoi amici impressionisti. Abbandonata la costruzione dell’immagine per grandi macchie di colore, soluzione già di per sé rivoluzionaria e adottata nei primi anni Sessanta, qui la scena è composta da una miriade di pennellate, che soprattutto nella parte riflessa nello specchio creano le figure in modo approssimativo, lasciandole indistinte e affidando all’occhio il compito di ricomporle. Certo, osservando il quadro da vicino tutto appare veramente molto confuso e non stupisce che il pubblico dell’epoca, abituato al miniaturismo lenticolare della pittura accademia, potesse rimanere sconcertato.

Édouard Manet, Il bar delle Folies-Bergère, 1881-82. Particolare del calice, della fruttiera e del gruppo di bottiglie a destra.

Ma se contempliamo l’opera alla giusta distanza, quelle pennellate creano lo straordinario effetto flou di uno specchio antico, che non ha la medesima capacità riflettente degli specchi moderni, e rende molto veritiero il rapporto di messa a fuoco tra ciò che si trova in primo piano e quanto resta sullo sfondo. Inoltre, la resa della folla indistinta, che richiama la strepitosa soluzione del Moulin de la Galette di Renoir, è di una tale efficacia che sembra quasi di sentire il festoso mormorio dei clienti e la musica di sottofondo.

Édouard Manet, Il bar delle Folies-Bergère, 1881-82. Particolare del calice con le rose.


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